Chi/Who


Architect and fashion designer, she started to draw before she could talk. She's a victim of various obsessions as 80's new wave and preppy fashions and graphics, japanese street styles, collecting vintage toys and objects from the past. She lives in Florence where she works as a professor in fashion illustration courses in both italian and international schools. In 2005 she created Be-Have Urban Atelier, a studio-boutique where she cuts and sews, prints, decorates and reconstructs, while drinking hundreds cups of hot tea. In her spare time she fights with her wardrobe ( that refuses to contain her vintage 80s evening dresses collection), and she feeds her inspiration and dreams watching movies (but only in a cinema!), dancing and dressing up as the 80's rockstar she wanted to be.

Architetto e stilista, ha iniziato a disegnare prima che a parlare. Vittima di varie ossessioni come le grafiche e le mode new wave e preppy degli anni '80, gli stili di strada giapponesi, il collezionare giocattoli vintage e oggetti dal passato. Vive e lavora a Firenze come docente di illustrazione e design di moda in scuole sia italiane che internazionali. Nel 2005 ha creato Be-Have Urban Atelier, una boutique-laboratorio dove taglia e cuce, stampa, decora, ricostruisce mentre beve centinaia di tazze di thè bollente. Nel tempo libero lotta con il suo armadio (che si rifiuta di contenere la folta sua collezione di voluminosi abiti da sera vintage '80) e coltiva la sua inspirazione e i suoi sogni guardando film (ma solo dentro un cinema!), ballando e vestendosi come la rockstar anni '80 che avrebbe voluto essere.

Una auto-intervista
di e a: Susanna Spoto, designer di Be-Have Urban Atelier





Che tipo di percorso ti ha portato a lavorare nella moda?


Fin dall'infanzia ho coltivato il disegno e la pittura, disegnando i  miei primi figurini per gioco, uno dei tanti esercizi di stile. In seguito mi sono laureata in architettura, per avere una formazione di base di ampio respiro che esplorasse diverse discipline inerenti al design; durante gli anni dell'università il mio interesse per la moda è cresciuto sempre di più, spingendomi a focalizzare la mia attenzione su questo campo. Ho quindi frequentato due corsi di formazione professionale per acquisire gli strumenti di base e le conoscenze tecniche e fatto qualche breve esperienza lavorativa in studi stilistici o piccole aziende, che mi sono servite per testare il mio "intuito" progettuale. Nel frattempo ho iniziato a insegnare nei corsi di fashion design di alcune scuole di formazione e istituti internazionali, professione che esercito con passione e che mi permette di tenere in vita Be-Have Urban Atelier, che è il mio brand autoprodotto. Nel 2004 , infatti, dopo aver conosciuto e sperimentato il re-make di abiti, ho deciso di aprire un atelier dove potessi produrre, esporre e vendere contemporaneamente in modo del tutto autonomo e indipendente, proponendo i miei pezzi unici,una tendenza che avevo visto già in atto all'estero,in città come Barcellona, Berlino, Copenaghen,Londra....


Quali sono le tue fonti di ispirazione principali?


Seguo molto da vicino tutte le evoluzioni delle culture di strada, che al giorno d’oggi sono re-interpretazioni e ibridazioni di stili diventati ormai classici, come punk, mod, retrò, rock’n’roll, ecc…in genere sono fenomeni strettamente correlati e originati dalla scena musicale, altro ambito che mi appassiona. Ho una vera ossessione per alcuni stilemi degli anni ’80, le grafiche, i colori forti e spavaldi,le silhouettes e le proporzioni azzardate, lo stile delle band new wave che per prime rievocarono stili vintage…e adoro il vintage in generale in tutte le sue manifestazioni, dalle auto d’epoca all’arredamento. In particolare amo il periodo mod. Un’altra cosa che mi affascina tantissimo è la moda di strada giapponese, unica al mondo per creatività e follia, in cui l’unica regola pare essere quella di non assomigliare a nessun altro e di auto inventarsi ogni giorno il proprio particolarissimo e spavaldo stile.


Come nasce il tuo interesse per il remake?


Ho iniziato a fare i primi esperimenti in questo campo per me stessa, su pezzi di cui mi piaceva il tessuto ma non il modello e che mi sarebbe dispiaciuto buttare via. Da sempre il vintage e l’usato in genere mi hanno affascinato e adoro "pescare" piccoli tesori scavando per ore nei mucchi dell'usato nei mercati. Quello che il remake rappresenta per me è una  sfida creativa: realizzare un capo che abbia una sua coerenza e significato avendo il limite di una certa quantità di materiale che oltretutto ha già una propria forma. Il nuovo capo deve inoltre  "rispettare" eventuali caratteristiche originarie di valore, per esempio una rifinitura, o un ricamo, o una stampa tipica tornata di moda ...
Ciò che mi affascina di un capo riutilizzato è l'idea che abbia avuto una "vita" precedente con un altro proprietario, che sia andato in giro per il mondo,che abbia vissuto storie...inoltre ogni abito è testimone dello stile di un'epoca e mi fa pensare a chi l'ha disegnato,a chi l'ha cucito,a chi ne ha scelto il tessuto, questo sia che si tratti di abiti di valore fatti a mano  sia di cose molto più modeste provenienti da collezioni di pronto-moda di pochi anni fa. Un'altro aspetto poetico degli abiti realizzati con il remake è che, essendo unici,  capita che non tutto ciò che ti piace sia della taglia adatta; quando però accade che ti stia a pennello è un po’ come se quel capo stesse aspettando proprio te! Mi fa pensare alla scarpina di Cenerentola! Un incontro fatale tra l'indumento e il giusto proprietario,insomma... i capi,creati su di un manichino,quando vengono indossati da una persona vera che li sceglie, prendono vita. Sono stata del tutto affascinata dal remake e dall'"upcycling" quando ho conosciuto le fantastiche sorelle Blakeney (un tempo proprietarie della prima boutique di remake a Firenze e autrici di libri di design a tema remake) con cui abbiamo formato per un certo periodo un gruppo di lavoro (Compai Collective) dando vita ad una sfilata ed altri eventi di successo al Vintage Selection a Firenze, a Roma e al Salone del Mobile di Milano  nello stand di Pitti Living.


Quali sono le caratteristiche degli abiti che produci?


Gli abiti Be-Have sono pezzi unici ricostruiti o customizzati a mano partendo da capi vintage o più spesso semplicemente di seconda mano selezionati uno ad uno durante le mie ricerche; oppure sono realizzati con rimanenze di stoffa sia vintage che nuova. I materiali di base sono scelti secondo i colori, le linee, stampe interessanti, o una buona qualità.
Anche gli elementi decorativi sono ottenuti da capi già esistenti oppure da avanzi di merceria quali nastri,bottoni,applicazioni.
 A volte l'intervento consiste in  un arricchimento (stampe fatte a mano,ricami,applicazioni) che dia personalità a un capo che possiede già un suo valore, mentre in altri casi il capo iniziale viene totalmente stravolto, ridotto in pezzi e ricostruito in un nuovo modello. In  ogni caso  nulla viene "ripetuto" esattamente uguale,ogni capo è studiato singolarmente così da assicurare unicità e cura dei dettagli. Oltre all’unicità, il grande pregio di questi capi, è il loro essere ecologici poiché fatti con tessuti riutilizzati (che,essendo stati già lavati molte volte, non si restringono e non sbiadiscono!). Sono inoltre abiti etici o “sweatshop-free”, ovvero prodotti senza sfruttamento del lavoro (una qualità a cui oggi,soprattutto negli USA, si presta sempre più attenzione.)


Come pensi si inserisca il remake o il one-of-a-kind nel panorama della moda italiana?


In questo momento critico per il settore moda, penso ci sia bisogno di riportare nel made in Italy  una caratteristica artigianale che è da sempre nella tradizione italiana e che ora ha bisogno di essere rilanciata soprattutto presso il pubblico delle nuove generazioni, che, dagli anni '80 in poi, sono cresciute con la cultura del "brand" e del prodotto industriale di massa. Il territorio delle grandi produzioni è invaso dalle nuove realtà orientali molto competitive. Quello su cui l'Italia può puntare per distinguere e valorizzare il suo prodotto è una concezione del design come patrimonio intrinseco della nostra tradizione, da ricercare nelle piccole produzioni, nella dimensione delle "botteghe", nelle realtà del "fatto a mano" in cui il design si sviluppa come talento spontaneo. Le autoproduzioni sono oggi la sola possibilità concreta per i giovani designer di far arrivare a un pubblico i loro prodotti, essendo a budget molto ridotto rispetto a una produzione industriale. Mi auguro che un giorno le persone tornino ad essere affascinate dai piccoli atelier sartoriali piuttosto che dalle passerelle scintillanti. Il one-of-a-kind è una tendenza appena nata in Italia (subito notata e utilizzata dai grandi brands) che può ritagliarsi un proprio piccolo spazio avendo come target tutti quegli "outsiders" della moda sempre alla ricerca di uno stile diverso da quello che offre il mainstream .                  



Me & Chanel
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